venerdì 1 novembre 2013

Il Baglio di contrada Magone

Descrizione storico-architettonica

Il “Casino” è uno dei più antichi e ricchi bagli oggi nel territorio di Ribera, ma all'epoca della costruzione era territorio di Caltabellotta.
La sua posizione è sorprendente: al sommo di una vallata lunga e larga in vetta a un colle isolato e tuttavia circondato da dirupi, esso domina una vasta prospettiva di terre. Il paesaggio si estende florido e insieme malinconico, tutto coltivato ad aranceti, uliveti e vigneti; del mare, a sud, si scorge l’ampia distesa d’argento.
“Casino” è un termine siciliano che sta ad indicare una casa di delizie in campagna o in città. Fu costruito nella seconda metà del seicento nella baronia di Magone per volontà del  Duca di Bivona; era chiamato anche “Casa della Secrezia” perché gestito e abitato, in un primo tempo, dal secreto o dagli affittuari.
A quel tempo il “Casino” era costituito da ventitrè corpi di casa tra quelli del piano superiore e le officine del piano terreno, la Chiesa intitolata a S. Maria degli Angeli (come apprendiamo dai registri del primo Catasto Provvisorio di Sicilia del 1847-50), il cortile, il magazzino ed infine la cisterna. La morfologia di questi elementi è rimasta sostanzialmente invariata, ma non la sua estetica e funzione. Forma un rettangolo di 30 per 36 metri, con un cortile interno di 14 per 19 metri.
Il baglio del “Casino” con la sua corte centrale, il bel portale in pietra, l’armoniosa crociera che segna il passaggio tra interno ed esterno, la preziosa chiesetta affrescata, facevano di questo manufatto uno dei più pregiati della provincia.
Oggi possiamo affermare che esso non esiste più, restano solo alcune mura a testimoniarne l'esistenza.
Il baglio è stato oggetto di ripetuti saccheggi che lo hanno spogliato di cornici, pavimenti, balaustrate, delle famose colonnine dell’ampia trifora del cortile e la lapide, apposta sopra il portale principale, da Giovanni Battista Consiglio e Castiglione che riportava il testo che segue: “Magonum punici nominis agrum inter isburum allabamque xia Triocola lapide situm unde paenorum ditio erucinos versus protendebatur a Calogero De Ioanni primo acri barone hoc in exunte soeculo vineis oleisque con situm rurali fano commodisque aedibus ex ornatur anno. Eiusdem soeculi nono octavo que e lapso anno auctore e vivis sublato omnia pessum ire temporum vicissitudine visa sunt. Caetanus demun Consiglio Magonis baronis amoenit atem vineis oleisque dignitatemque pristinam aedibus & restituit & auxit. Ioanne Bapt. a Consiglio & Castiglione Belicis baro patri optumo cui longos exortat dies. Iubens meritoque posuit. Anno MDCCLXXV.”
Il famoso affresco della chiesa era già compromesso anni addietro, ma era ancora recuperabile. Oggi al posto di quel luogo sacro c’è un cumulo di macerie e ci dobbiamo accontentare di vedere le forme ed i colori di quell’affresco di preziosa manifattura in qualche registrazione filmata da rari amatori del nostro patrimonio artistico-architettonico.
Non un albero circonda il baglio, solo resti della muratura, cumuli di terra e pietre, erbacce di tutti i tipi. Unico superstite è un albero di fico rigoglioso che cresce dentro il cortile, per il resto tutto è rovina.
Lo stato di abbandono in cui versa questo manufatto del ‘600 è veramente sconcertante. In nessun posto del mondo il patrimonio storico-architettonico è dimenticato come da noi. Non i proprietari, non l’amministrazione comunale, non la sovrintendenza ai beni culturali e ambientali, non l’iniziativa di qualche privato o di un gruppo, si è mai presa cura delle sorti di questi ruderi che adeguatamente restaurati e rifunzionalizzati sarebbero potuti divenire meta di viaggi culturali, o musei del nostro patrimonio etnoantropologico o ancora residenze agrituristiche o case d’abitazione.


Successioni feudali della baronia di Magone

Di Giovanni-Amodei - Come è noto Calogero Di Giovanni è stato il primo Barone di Magone. Questo sottofeudo, ottenuto dallo smembramento del grande feudo di Camemi (e confinante con quello di Piana Stampaci dove veniva fondata Ribera nel 1636), in uno con il baglio chiamato “Casino” costruito alla fine del ’600, veniva concesso al Di Giovanni dal Duca di Bivona. Questi ottenne dal governo che al possessore del feudo venisse dato il titolo di Barone, o meglio agri-barone.
Calogero Di Giovanni nato intorno al 1657 da Giuseppe e da Calogera Speziale da Calamonaci intraprendeva gli studi ecclesiastici (forse a Sciacca) che poi abbandonava dopo esser diventato chierico e si sposava a Calamonaci l’11/9/1678 con Anna Scarpinato fu Pellegrino e di Agata da Villafranca e abitante a Calamonaci (sorella del futuro arciprete di Ribera Vincenzo Scarpinato). Alla fine del ’600 il Di Giovanni si trasferiva a Ribera, dopo aver acquistato il feudo di Magone ed il palazzo oggi corrispondente al cortile Genova, insieme al fratello sacerdote Francesco ed alla figlia Caterina. Questa sposava a Ribera il 7 giugno 1699 Antonino Amodei figlio di Francesco e di Caterina Quaranta da Villafranca (nipote dell’arciprete di Caltabellotta Melchiorre Quaranta).
Il Di Giovanni moriva il 19 aprile 1717 cioè due giorni dopo aver ottenuto di investirsi, per sé e per i suoi eredi, del titolo di Barone di Magone, mentre la moglie era morta tredici giorni prima e cioè il 6 aprile.
Dal matrimonio di Caterina Di Giovanni nascevano, invece, tre figlie: Anna nata il 31 agosto 1701, Antonia nata il 23 agosto 1704 e Domenica nata il 10 settembre 1705. Mentre gli unici figli maschi Francesco e Calogero nati rispettivamente l’8 marzo 1700 e il 20 giugno 1703, morivano pochi mesi dopo la nascita. Pochi anni dopo morivano anche i loro genitori, il padre il 16 aprile 1708 a Villafranca, e la madre il 16 aprile 1709 ad appena 27 anni a Ribera e lasciavano così le tre bambine orfane in tenera età. Queste venivano cresciute, quindi, dai nonni Calogero Di Giovanni e Anna Scarpinato. Anna Amodei era andata in sposa al barone di Racalmaimone (Scunda) don Giuseppe Bona da Bisacquino. Purtroppo anche i nonni, come abbiamo visto, morivano nel 1717 lasciando Antonia a 13 anni, Domenica a 12 e Anna che moriva nello stesso anno il 16 novembre a soli 17 anni.
Calogero Di Giovanni con testamento del 17 aprile 1717 lasciava a Domenica il feudo di Magone con palazzo (Casino) e con relativo titolo di barone, il palazzo sito in Ribera; ad Antonia lasciava, invece biancheria per un valore di onze 200 ed altre onze 2800 sull’asse ereditario; alla figlia Anna Amodei ed al marito barone Giuseppe Bona lasciava del denaro ed altri beni minori; infine ad Antonino e Giuseppe Piscione, che il Di Giovanni dice suoi nipoti, lasciava una chiusa di terre nella contrada Cisternazza nel feudo di Camemi e del bestiame.
Domenica Amodei abitava a Palermo e in un primo momento pensava di affittare tutti i beni posseduti a Ribera. Infatti con atto del 21/7/1720 nomina procuratore don Giuseppe Troncali per tale operazione. In seguito, ci riferisce il De Spucches, rinunzia al titolo e lo passa, insieme ai beni, alla nipote Caterina nata dalla di lei sorella Antonia ed il barone del Belice don Ignazio Castiglione. Si spegne così la casata Di Giovanni-Amodei.

Castiglione - (Baroni del Belice) - La casata dei Castiglione di Sicilia, secondo il Mugnos è originaria di Milano. Mango Casalgerardo riferendo brevemente quanto detto dal Mugnos scrive che «un Bartolomeo è tra i secreti e maestri portulani di Sicilia sotto re Pietro 1282; un Ansalone (Castellano) è giudice di Messina 1311; un Giacomo, figlio ed erede di Mazzullo e di Giacomina Stagno, vende nel 1375 un fondo chiamato S. Giusto Pantaleona Stagno; un Lorenzo Castiglione e Paci con privilegio dato l’11 luglio 1650, ottenne il titolo di barone di S. Luigi; un Nicolò fu giudice Pretoriano di Palermo nel 1730-31 e del Concistoro nel 1735.»
Il ramo dei Castiglione che ci interessa ha origine a Mussumeli con certo Luigi sposato con Domenica da cui nasceva Michele che sposava a Cammarata nel 1578 Laura De Caldararo figlia di Francesco e Giovanna. Da questi nascevano tre figli: Paolino, Clemente e Antonino. Quest’ultimo, ci riferisce il De Gregorio, «…nacque in Cammarata nel 1590. Nel 1620 Antonino Castiglione comperò delle rendite da Filippo Taverna, figlio di Ottavio. Probabilmente compì gli studi filosofici e teologici fuori regno conseguendo la laurea in teologia, ma non fu ordinato sacerdote, forse fu chierico. Non è da escludere che sia stato a Roma dove ottenne il titolo (e probabilmente esercitò l’ufficio) di Protonotario Apostolico e contrasse rapporti e amicizie con molte personalità di rilievo. Fu anche abate — onde il titolo più usuale con cui è chiamato nei documenti — di S. Domenica de Monte Dei di Ficarra. Il Pirro, tra i monasteri soggetti all’archimandritato del SS. Salvatore di Messina, ricorda quello di S. Angelo di Ficarra che ritiene sia anche denominato di S. Maria de Monte Dei e aggiunge: “Viene conferito dai Papi; oggi per cessione di Paolo de Angelis, siciliano Narese, c’è, con il titolo di abate, Antonio Castiglione, siciliano, Cammaratese”. Il Castiglione poté ottenere il titolo di abate, con le rendite di S. Maria de Monte Dei, forse anche come compenso della sua attività di Protonotario Apostolico. Fu anche beneficiale della Madonna dei Miracoli di Cammarata. … Il Castiglione morì il 18 agosto 1648, come risulta dall’atto di morte. Il 15 agosto in notar Girolamo de Angelo egli aveva fatto testamento, nominando erede universale il fratello Paolino. In questo testamento il Castiglione legittimava espressamente due figli naturali: Giuseppe e Anna di cui creava tutore Barnaba Hyacinto Merelli. “A Giuseppe Castiglione, suo figlio naturale — è detto — lasciava gli infrascritti feghi cioè Recattini, li Manichi, Simponessa, La Chiappona, Chibbo, Vicoretto e Vaccarizzo, feghi della baronia di Belici con carico di pagare ad Anna Castiglione, altra sua figlia naturale, onze ventimila, una volta tantum, a tempo di suo matrimonio o monacato ed interim di alimentarla e sustenirla di alimenti e vestimenti necessari”. … Le liti giudiziarie sulla sua eredità continuarono a lungo e forse dispersero il patrimonio dell’abate. Dalle notizie qui raccolte non sappiamo storicamente stabilire se il Castiglione sia stato un abile speculatore, uno sprovveduto amministratore dei suoi beni, un megalomane, un avventuriero…».
Il fratello Paolino, come abbiamo visto, è invece l’erede universale dei beni del fratello Abate Antonino che passeranno poi ai figli Mariano, Antonino e Francesco.
L’altro fratello dell’abate, Clemente Castiglione barone delli Manchi, lo troviamo a Ribera mentre questa era in costruzione e cioè nel 1635-36, come amministratore dei beni di Antonino arrendatore della contea di Caltabellotta e della stessa Ribera, di cui faceva parte, appartenente al Principe di Paternò. Dopo alcuni anni il Clemente lasciava Ribera, però contemporaneamente aveva fatto acquistare al figlio Filippo il feudo e la baronia di Racalmaimone (Scunda), nel territorio tra Sciacca e Caltabellotta, da Francesco Enriquez e lo fa investire dei relativi titoli il 18 marzo 1635, ma lo zio Antonino lo rivende il 17 dicembre 1642 al notaio Francesco Di Stefano, con promessa di fare ratificare l’atto da Clemente e da Filippo. Ci sfuggono però i motivi di questa improvvisa vendita fatta dall’abate Castiglione.
La baronia di Belici, ci riferisce il De Spucches, faceva parte della Contea di Golisano e si componeva di dieci feudi di cui uno è Timparussa. Della Contea di Golisano e Baronia di Belice s’investì il 9 giugno 1627, Luigi Moncada, principe di Paternò, per la rinuncia di Antonio, suo padre. Questi vendette i feudi di Timparussa, Chiapparia, Vicoretto, Chibbo e Barbarico, membri della baronia del Belice ed il relativo titolo all’abate Antonino Castiglione con atto stipulato dal notaio Giacinto Cinquemani in Palermo in data 14 ottobre 1635. Questi non prese investitura. Le notizie però si rilevano da un’investitura posteriore del settembre 1666, e propriamente dal Processo d’Investitura dell’anno 1666-67, l’8 marzo, per cui questa ebbe luogo solo allora, ma né Antonino, che era già morto, né tantomeno il figlio naturale Giuseppe poterono godere di detta Investitura poiché per il passaggio della corona da Filippo IV a Carlo II venne investita della baronia Petronilla De Migliori il 16 settembre 1666 tramite aggiudicazione della Regia Corte Pretoriana. Il 22 aprile 1702 Giuseppe Castiglione, riprese investitura del feudo venendogli restituito da Petronilla De Migliori, per causa di lesione, rimedio graciose, per sentenza della Regia Gran Corte in data 27 ottobre 1667.
Il figlio primogenito ed erede particolare di Giuseppe Castiglione e Vincenza Luparelli, Ignazio, si investiva della baronia del Belice il 25 settembre 1720. Si era sposato a Palermo il 20 dicembre 1717 con Antonia Amodei e figlia di Antonino Amodei e Caterina Di Giovanni di Ribera. Quindi si trasferirono a Ribera tra la fine del 1724 ed i primi del 1725 e si stabilivano nel palazzo Di Giovanni.
Da questi nacquero ben 13 figli (9 maschi e 4 femmine), ma solo 4 arrivarono alla maggiore età (3 maschi e 1 femmina) e di questi solo due si sposarono.
Il primogenito, Giuseppe, nato a Palermo intorno al 1722, si sposò con donna Anna Bonomo, già vedova di Rosario Ortolani da Caltavuturo, nel 1740 circa acquisendo il titolo di Barone di Magone. Ebbero tre figli: Francesco, Antonia e Ignazio, morti tutti in tenera età. Anna Bonomo moriva dopo il 20 novembre 1747, data in cui rogò il testamento agli atti del notaio Giacinto Blasco di Ribera, mentre il marito moriva tra il 1753 ed il 1758. Il titolo, quindi, passava di nuovo al padre Ignazio, che moriva a sua volta il 28 aprile 1759, mentre la moglie Antonia Amodei moriva il 6 giugno 1769, così i beni ed i titoli passavano, secondo le disposizioni testamentarie, al figlio Agostino, che era nato il 19 dicembre 1735, il quale era rimasto celibe e moriva il 19 dicembre 1773 non facendo in tempo ad investirsi dei titoli del padre. Quindi ereditava il di lui fratello Calogero, che era nato nel 1736, che si investiva dei titoli di Barone del Belice e di Magone il 7 luglio 1781 e, rinunziandovi, questi passavano alla sorella Caterina il 9 successivo. Calogero moriva celibe il 21 luglio 1784.
Consiglio – Caterina Castiglione, che era nata il 14 gennaio 1731, era andata in sposa, a Ribera, il 29 novembre 1749 a Gaetano Consiglio da Sciacca, dove era andata ad abitare, per cui essendo venuta in possesso, oltre che del titolo, anche, dopo la morte del fratello Calogero, dei beni, vendeva tutti gli immobili urbani, mentre teneva il feudo di Magone dove insisteva il titolo di barone. Caterina moriva a Sciacca il 25 agosto 1810 e così si spegneva completamente la famiglia Castiglione di Ribera, mentre il titolo di barone del Belice e di Magone passava al di lei figlio Giovanni Battista Consiglio e Castiglione, nato a Sciacca il 18 novembre 1754, capitano d’armi a Sciacca, che sposava il 26 novembre 1791 Marianna Tagliavia figlia di Giuseppe e Teresa Tagliavia. Quindi al loro figlio Gaetano, nato il 6 marzo 1793, insigne patriota che partecipò ai moti di Sciacca del 1848, il quale non chiese riconoscimento del titolo. Si era sposato con Anna Maria Grimaldi da loro nasceva, primogenita, Marianna il 17 febbraio 1820.
Tagliavia - Marianna Tagliavia sposava il 13 aprile 1842 Francesco Onofrio Tagliavia Duca di Alagona, figlio del fu Giovanni (Capitumolo, che per il matrimonio assunse il cognome di Tagliavia) e Marianna Tagliavia e Adamo, per cui i titoli di barone del Belice e di Magone passarono alla casata dei Tagliavia di Alagona, ma per pochi anni poiché una figlia di questi sposerà un Di Stefano.
Di Stefano o De Stefani – A Sciacca erano presenti due famiglie con questo cognome, quella che interessa noi è la famiglia De Stefani-Falco, poiché a Sciacca ha come capostipite il cav. Giuseppe De Stefani-Santangelo, cav. dello Speron d’oro, nato in Santa Ninfa nel 1790, ove si rese tanto benemerito; il quale sposò in Sciacca la signora Giovanna Falco, procreando diversi figli, alcuni in Sciacca altri nel citato comune d’origine, e tra essi il dottor Mariano, la signora Ignazia, che fu educata nel monastero di Fazello e che poi fu moglie al cav. Calogero Amato-Vetrano, il cav. Vincenzo che studiò per genio la pittura in Palermo ed in Roma, e divenne un buon artista, ed il barone Angelo che sposò a Sciacca nella Chiesa Madre il 3 luglio 1859 Anna Maria Tagliavia-Capitumolo baronessa di Magone figlia del fu Francesco Onofrio e della vivente Marianna Tagliavia suddetti. Agli inizi del '900 era presente questo ramo con il cav. Cesare, figlio di Mariano, e dal baronello Giuseppe, figlio del detto barone Angelo.
Lo stemma di questa famiglia è uno scudo rilevante tre stelle con tre corone, standovi al di sotto terra e mare.
Nel 1872, come risulta dal catasto provvisorio di Ribera del 1847-50, il feudo e il Casino passavano a Angelo Di Stefano. Nel catasto del 1890 risulta intestato Francesco Di Stefano e poi gli eredi, nei primi anni del ‘900 lo venderanno a varie persone per cui anche il baglio venendo frazionato non avrà più nessuna manutenzione e praticamente piano piano gli eventi atmosferici lo distruggeranno.

La costruzione

Nell’attuale territorio di Ribera le uniche costruzioni che esistevano nel ‘500 erano il castello di Misilcassim o Poggiodiana e la masseria di Misilcassim che si trovava proprio nel luogo dove, nel secolo successivo, veniva fondata Ribera.
Con la nascita di Ribera e quindi la messa a cultura dei terreni limitrofi si vide il castello perdere sempre più di importanza e nei feudi si cominciarono a costruire masserie e bagli.
Così il castello nella posizione in cui si trovava cominciava ad essere molto scomodo anche per l’uso prettamente agricolo a cui ormai era adibito. Il potentissimo uragano del 28 settembre 1667, la forte grandinata del 25 novembre 1667 di cui, si dice, ogni granulo era quanto un uovo, la carestia del 1672, probabilmente, fecero sì che il restauro della struttura castellana, così grande ed imponente e ormai così provata, risultasse antieconomico. La maniera per evitare ancora sperpero inutile di denaro era la costruzione di altre case a valle del feudo e, quindi si provvedeva in tal senso. Infatti il 18 ottobre 1678 “Magister Paulus Miraglia, faber murarius” dichiarava di aver ricevuto da Girolamo Colle, secreto di Caltabellotta e Ribera, onze 26,20,17 “in havere fatto la casa della Canna Grande come all’obligazione fatta da detto mastro Paolo nell’atti della corte Civile di questa terra di Ribera di Moncada…”. Questa casa era stata fatta, come si legge nell’atto, “per commodità delli gabelloti d’esso territorio della Canna grande e suo guardiano come per la guardia del mulino della Torre per essere in campagna e vicino la fratta con pericolo grande d’essere derubato come per il passato.”
Alcuni anni dopo un altro tremendo, quanto famigerato, terremoto si abbatteva sulla Sicilia orientale, cioè quello del 1693. Nelle nostre parti si avvertiva dal 9 all’11 gennaio, quest’ultima volta un po’ più violento della prima. Da quell’anno si perpetuò l’usanza di fare una processione e di esporre il Santissimo nelle chiese parrocchiali e di cantare il Te Deum nelle chiese sacramentali.
Non sappiamo se questo terremoto minò ulteriormente il castello, ma, di certo, apprendiamo che continuavano a costruirsi dei bagli in quasi tutti i feudi compresi nell’ormai ex baronia di Misilcassim, ed inoltre il castello veniva letteralmente smontato per utilizzarne il materiale per la costruzione del “Casino”, struttura architettonica a baglio, sita in contrada Magone, nel territorio di Ribera. Infatti in due documenti che portano la data del 19/20 febbraio 1693 leggiamo: “Eodem die decimo nono februarij prima Ind. millesimo sexcentesimo nonagesimo tertio. Magister Sebastianus Raija de hac terra Ribera de moncada mihi notario cognitus coram nobis sponte declaravit in anno XV Ind. p.p. et in presente anno fatetur habuisse et recepisse ab Antonino Navarra absente pro ut uti deputato in hac predetta terra Ill.ma Deputationis Eccellentissimi Domini Ducis Montis Alti. Unciarus tres tarinorus duodecim et granorus decem ponderis generalis de quaesiti siti solutis de ordine Magnifici Hieronimi Baldanza commissionati dicta Ill.ma Deputationis mihi etiam cogniti presentis et sic ordinasse consistentis ut dicitur veris. Se li pagano cioè tt. 3 per menza giornata sua et un manuali fatta all’11 luglio per l’accomodo delli soli delle cammare del Casino in questa di S.E.P. nell’appartato del Secreto; tt. 10 per esso e tri manuali haver levato n. 14 scalandroni del Palaggio di Poteggiano scoverti nelli tetti di suso e calari alcuni canali in terra…”.
Mentre nell’altro si legge: “Eodem (20 febbraio 1693) Magister Paulus Marsalisi de hac terra Ribera de Moncada mihi notario cognitus coram nobis sponte fatetur habuisse et recepisse ab Antonino Navarra absente pro ut uti deputato in hac predetta terra Ill.ma Deputationis Ecc.mi Domini Ducis Montis Alti. Unciarus decem tarinorus vigintinove et granoru unu ponderis generalis diversi mode de quaesiti siti solutis de ordine magnifici Hieronimi Baldanza commissionati dicta Ill.ma Deputationis mihi etiam cogniti presentis et sic ordinasse consistentis ut dicitur veris. ... E tt. sei pagati à 2 agosto per far carriare n. 12 carrichi di canali dal palaggio di Poteggiano in questa terra.”
Quindi alla costruzione del Casino vigilava la Deputazione del Duca di Bivona rappresentata in questo anno, 1693, da Antonino Navarra. Ma nel frattempo stava facendosi strada un calamonacese, Calogero Di Giovanni che dalla borghesia stava passando alla media nobiltà. 
Così il feudo di Magone diveniva agri-baronia nei primi del 1700 con il secreto e affittuario degli stati di Ribera e Caltabellotta, Calogero Di Giovanni.
Calogero Di Giovanni si trasferiva a Ribera, proveniente da Sciacca, nel 1692, epoca in cui acquista una vigna nella Piana di Stampaci vendutagli da Michele Di Leo. Pensa così di porre la sua dimora a Ribera e si fa costruire un palazzetto dal capomastro di Cattolica Pellegrino Vanella. Gli intagli li commissionava invece ai fratelli mastri Felice e Ignazio Miraglia di Ribera.
Quindi alla morte di Calogero Di Giovanni (1717) venne fatto l’inventario  dei beni che possedeva e fra questi vi era anche il feudo di Magone ed il Casino. L’atto porta la data del 28 aprile e vi leggiamo:
Item numero 36000 di vigne d’anni 14 in circa existenti nella Piana di Magone territorio di Caltabellotta confinante al Casino divise in 4 partenze.
Item altro migliaro (più altre 2000) di vigne nella Cava del Crivaro in detto Casino…
(In tutto 89000 viti)
Item 4000 di piedi di olive in circa essistenti in dette vigne piantate d’anni 4 e 6 in circa.
Item altri tumuli tre di terre nel medesimo luoco dove vi sono piantati diversi alberi di frutti di anni 4 e 6 in circa con suo gebbia di acqua à guisa di giardino.
Item un Palazzo sito e posito nel fego seu Piana di Magone uti dicitur il Casino consistente in numero 23 corpi di case trà quelle di sopra ed officine di sotto con sua chiesa inclusa e magazzino con cortiglio grande e cisterna dove vi sono dentro le infrascritte robbe cioè:
In primis n. 40 quatri di diversi paesaggi ordinarij con sue cornici negre…
Item addobbi della Chiesa cioè un calice di argento,…una casubula bianca ed altra negra con sue manipole e stole, un missale di requiem, altro missale Romano, un cammiso con cingolo ed ammitto di tela, un moccatorello di ampolline, due tovaglie di altare, due bossole per l’Ostia, n. 6 candileri dorati di mustura con sua croce e vasetti e rametti.
Nel 1847-50 la consistenza della masseria la vediamo dal catasto provvisorio sopra citato.
La residenza veniva usata fino al XIX secolo dai proprietari sia per i lavori stagionali che per sollazzo estivo, dove amavano andare anche i Consiglio. Infatti in un atto notarile del 1812 apprendiamo le lamentele di Giovanni Battista per il fetore che proveniva dalla valle sottostante a causa della coltivazione del riso:
Avanzò suo ricorso alla Maestà Sua Ill.ma D.G., l’Ill.mo Signor Don Giovanni Battista Consiglio barone di castel Belice, e di Magone della città di Sciacca implorando le opportune provvidenze sul pregiudizio che viene a recarsi alla sanità della gente di servizio addetta alla coltura del suo predio nella quontrada di Magone territorio di questa terra di Ribera di Moncada, ed alla salute della sua persona nommeno che della sua famiglia nel tempo che trattengonsi nella Casina di detto fondo per villeggiare in ogni anno; e ciò per l’aere pestifero caggionato dalle risiere fatte dalli infrascritti naturali di questa in quei contorni infra la distanza di tre miglia di là dall’abitato prescritta dalle leggi.” Quindi viene imposto a coloro che coltivavano il riso di togliere queste colture ed impiantare altro tipo di piantagioni, ma dovrà passare ancora più di mezzo secolo  e l’interessamento del dottore e poeta Vincenzo Navarro per poter capire che anche la malaria aveva a che fare con le risaie.


Raimondo Lentini



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